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Home → News → Il Regno Unito ha mollato gli ormeggi e dopo 47 anni è uscito dall’Unione Europea. - 29/01/2021 (0 Commento/i)
 
 
 
 
Cultura

Il Regno Unito ha mollato gli ormeggi e dopo 47 anni è uscito dall’Unione Europea.

29/01/2021
Il 1° gennaio di quest’anno rappresenta sicuramente una data storica per il calendario: il Regno Unito (Inghilterra, Scozia, Galles ed Irlanda del Nord) ha mollato gli ormeggi e dopo 47 anni è uscito dall’Unione Europea. Non è stata una separazione facile, ci sono voluti 4 anni di psicodrammi, incertezze, spaccature, giravolte, un vero e proprio travaglio politico che dal referendum del 2016, che ha sancito l’uscita dall’Unione Europea, ha “bruciato” due primi ministri come David Cameron e Theresa May ed ha diviso la società britannica. La Scozia, il Galles, l’Irlanda del Nord e la City di Londra si sono pronunciate, infatti, contrarie all’uscita dalla Unione Europea.

Ciò nonostante, il SI ha prevalso (51,9%) ed il suo promotore, Boris Johnson, con un risultato elettorale di rilievo, ha conquistato il potere stracciando il suo rivale laburista James Corbyn e riuscendo ad imporre agli avversari, di sinistra e di destra radicale, la propria agenda politica che poi era fondata su un punto unico: la Brexit. Il successo elettorale di Boris Johnson e, quindi, la sua ascesa al potere è stata possibile perché ha saputo intercettare il profondo malessere sociale che scuote i ceti più popolari del Regno Unito indicando quale principale responsabile l’Europa che, a sua detta, produce nel cuore del Vecchio Continente disuguaglianze e deindustrializzazione. Storicamente il Regno Unito, a differenza degli altri Paesi continentali, non ha mai condiviso una convinta adesione all’Unione Europea ed a quelli che erano i valori della comunità.
Tornano alla mente le parole di Winston Churchill estremo difensore dell’impero britannico che lui sapeva e voleva inglese ed al quale Boris Johnson, con scarse probabilità di riuscita, vorrebbe somigliare: «Abbiamo il nostro sogno e il nostro proprio compito. Noi siamo con l’Europa, ma non dell’Europa. Siamo collegati ma non mescolati. Siamo interessati e associati, ma non assorbiti». Sicuramente a favore del mercato comune e della libera circolazione, le incertezze sulla UE hanno sempre pervaso lo Stato britannico. Basti pensare che il Regno Unito non ha mai aderito a quelli che erano i grandi trattati come quello della moneta unica (Euro) ed ha comunque avuto sempre un ampio distacco rispetto alle politiche comuni europee. Dopo la vittoria del “SI” bisognava decidere se lasciare l’Unione Europea con o senza accordo, condizione questa che avrebbe avuto ripercussioni notevoli sull’economia britannica ed europea. Dopo una estenuante trattativa si è deciso in extremis per un accordo che è stato raggiunto pochi giorni prima dello scadere del termine di uscita fissato per il 31 dicembre del 2020 e che è stato accolto con entusiasmo e sollievo.
Dal 1° gennaio 2021 il Regno Unito non è più parte del territorio doganale e fiscale (IVA e accise) dell'Unione Europea tornando ad essere un “Paese Terzo” e soggetto alle regole dell’O.M.C. (Organizzazione mondiale del commercio) in Inglese W.T.O. (Word Trade Organization).
La circolazione delle merci tra UK e UE è regolata oggi da un accordo di 1290 pagine che ha fissato un minimo di intesa commerciale tra Regno Unito ed Unione Europea senza il quale ci sarebbe stata una rottura totale nei rapporti con inevitabili conseguenze negative su cittadini e imprese e sarebbero stati imposti dei dazi che avrebbero innalzato sul mercato il valore delle merci e reso poco conveniente per l’Unione Europea concludere affari con il Regno Unito e viceversa. Ciò nonostante, aver rimesso in piedi le barriere doganali, essere costretti all’emissione di una dichiarazione doganale servendosi, per questo, di uno spedizioniere, adempiere, inoltre, a tutte le incombenze di carattere fitosanitario per le merci deperibili, questo ed altro ancora sicuramente porteranno ad un innalzamento dei prezzi oltre che causare notevoli disagi al traffico veicolare. Tutti gli acquisti on-line dal Regno Unito, ad esempio, pur rientrando negli accordi preferenziali per non pagare dazio, e per esserlo le merci devono essere originarie del Regno Unito o della Comunità Europea, stanno già subendo aumenti di prezzo per “pratiche doganali”, in altri termini per l’aver rimesso in piedi una burocrazia ritenuta superflua e superata dai 27 Paesi dell’Unione.
Va anche detto che molte grandi aziende hanno promesso che non scaricheranno sui clienti questi costi. A questo proposito l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per semplificare la vita di chi praticamente dovrà affrontare il post Brexit ha adottato alcuni interventi di semplificazione e snellimento delle procedure di carattere doganale connesse alle operazioni di esportazione verso tutti i “Paesi Terzi e, dal 1° gennaio di quest’anno, anche per il Regno Unito. Ma vediamo cosa altro è cambiato. Viaggi e lavoro. Sarà necessario il passaporto e non più la carta di identità per recarsi nel Regno Unito per scopi turistici. Scattano, inoltre, le limitazioni per eventuali acquisti effettuati e riposti nei bagagli personali dei viaggiatori di ritorno in Italia. Alla Dogana non si pagheranno diritti purché tali importazioni abbiano carattere occasionale e i beni siano destinati all’uso personale o familiare del viaggiatore e purché il loro valore non superi complessivamente 300 € per viaggiatore che diventano 430 € nel caso di arrivo in aereo e via mare. Ovviamente le stesse restrizioni si hanno all’ingresso nel Regno Unito. Al rientro in Italia, poi, non si dovranno più imboccare le corsie preferenziali per chi proviene da Paesi comunitari, ma quelle destinate ai viaggiatori che vengono da Paesi Terzi soggetti al controllo dei documenti di identità nonché ai controlli della Dogana. Per il possesso di prodotti alcoolici, profumi e tabacchi esistono ulteriori limitazioni, per cui meglio informarsi prima di intraprendere un viaggio. Per poter lavorare oltremanica, invece, bisognerà essere in possesso di un visto, ottenibile solo nel caso in cui si abbia già un impiego, retribuito almeno 26.500 sterline (circa 29 mila euro) e a patto di avere un livello di conoscenza di inglese B1. È prevista invece una corsia preferenziale (fast-track entry) per ottenere il visto per i lavoratori del settore sanitario. La questione visto non coinvolge gli oltre 4 milioni di europei che già vivono e lavorano nel Regno Unito.
Università. Il Regno Unito non farà più parte del programma Erasmus, quindi non solo gli studenti britannici non potranno accedervi ma dall'anno prossimo anche i loro colleghi europei dovranno richiedere il visto per studiare e pagare la retta universitaria (alta) come gli studenti non britannici. Sul punto, il capo negoziatore della Ue, Michel Barnier, ha detto di "rimpiangere" che "il governo britannico abbia scelto di non partecipare più al programma di scambio Erasmus". Sulla materia, il premier britannico ha promesso il lancio di Alan Turing, il nuovo programma mondiale che dovrà rimpiazzare l'Erasmus. Due studi indipendenti pubblicati dalla Commissione europea a inizio anno hanno dimostrato che il programma Erasmus+ è stato letteralmente "una svolta per 5 milioni di studenti europei" perché "ha migliorato la loro vita personale e professionale, e ha permesso di rendere le università più innovative". PESCA. Un settore di ridotto impatto economico ma che era diventato il maggior nodo da districare e che rischiava, ad opera della Francia le cui coste sono maggiormente interessate, di far saltare qualsiasi tipo di intesa. In base all'accordo raggiunto, l'Europa rinuncia a un quarto della quota di pesce catturato nelle acque del Regno Unito, molto meno dell'80% inizialmente richiesto dalla Gran Bretagna. Il sistema sarà in vigore per 5 anni e mezzo, dopodiché le quote saranno riesaminate. La Francia ha già annunciato aiuti forfettari a pescatori e grossisti francesi fino a 30 mila euro a seconda della loro dipendenza dai prodotti pescati nelle acque britanniche.
La questione Irlanda del Nord. La soluzione concordata consente all'Irlanda del Nord di rimanere nel territorio doganale del Regno Unito e, al tempo stesso, di beneficiare del mercato unico. L’accordo raggiunto evita di fatto una frontiera fisica tra l'Irlanda e l'Irlanda del Nord e tutela l’economia dell'intera isola e l'accordo del Venerdì santo (accordo di Belfast) in tutte le sue dimensioni. Tutto questo per evitare il riaccendersi di un conflitto tra i due Paesi durato 30 anni e che ha causato la morte di 3.600 persone tra cui quasi 2000 civili, in tutta l’Irlanda del Nord. Le due grandi parti del conflitto, ricordiamo, erano gli unionisti, per la maggioranza protestanti e favorevoli alla permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, e i repubblicani, cattolici e favorevoli invece all’unificazione di Irlanda e Irlanda del Nord. In Irlanda del Nord la maggioranza della popolazione era unionista e protestante, mentre i repubblicani erano una minoranza. Al giorno d’oggi le cose sono in parte cambiate e l’aumento dei cattolici nonché quelli favorevoli alla permanenza dell’Irlanda del Nord nella Comunità Europea, in molti pensano che abbiano accelerato un processo inevitabile che porterà ad una Irlanda unita. Altro Paese contrario alla Brexit e che oggi rivendica l’indipendenza è la Scozia. Contrariamente all’anno 2014 dove in un referendum la maggioranza della popolazione scozzese si dichiarò contraria all’indipendenza, oggi molte cose sono mutate. Tutti i sondaggi di opinione mostrano un aumento del sostegno per l’indipendenza della Scozia con percentuali variabili dal 51 al 59% e la causa va ricercata nella Brexit. La Scozia è il Paese del Regno Unito ad avere ottenuto dalla Unione Europea il maggior sostegno finanziario che ha consentito ad un notevole progresso economico.
Dal 1° gennaio di quest’anno dalla Comunità la Scozia non vedrà più una lira. Ovviamente Boris Johnson non è disposto a cedere a nessuna richiesta di autonomia sostenendo che l’argomento potrà essere affrontato a distanza di una generazione, vale a dire tra 40 anni. La pandemia Covid sta falciando vittime e mettendo in crisi tutto il sistema sanitario britannico. Tra Brexit e Covid sicuramente il Regno Unito (fino a quando?) non sta attraversando un momento facile. Gli Inglesi hanno sempre dimostrato di essere degli esperti navigatori lasciando la loro impronta un po' in tutto il mondo. Si fanno forti di questo, l’Europa, però, non è da meno e l’esperienza Brexit speriamo sia da monito per migliorare e modificare, in parte, la rotta.

Bruno Maggio

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