Sabato 20 settembre, alle 17.30 alla Casarci di Vipiteno la presentazione del libro “Diario del Capitano. Le origini”.
Il libro racconta la storia di un ragazzo che vive la propria infanzia e adolescenza nella Vipiteno degli anni ‘80 e ‘90 e che sogna di diventare dentista. Andy conquista il proprio desiderio: arriva quinto su 300 partecipanti all’esame d’ammissione a Odontoiatria all’Università di Verona (cui ammettono solo 24 matricole). La vita studentesca di Andy è scandita da studio, lavoro e tanto divertimento. Stringe amicizie profonde, si apre al mondo e conosce l’amore della sua vita, Elena. Una volta laureato, comincia a farsi apprezzare professionalmente a Verona, continua a studiare e a specializzarsi. Appena trentenne, gli viene diagnosticata la sclerosi multipla: vive anni durissimi, la sua vita lavorativa va in frantumi e deve rinunciare alla propria autonomia e indipendenza.
Tuttavia, non è la malattia a definire la storia di Andy Zanarotto e il suo libro è la testimonianza sincera di una persona caparbia che, fin da adolescente, si ritrova a dover conquistare e ricostruire la propria felicità, ogni volta con maggiore fatica e impegno, ma senza arrendersi mai.
Nel tuo libro, l’amicizia è un aspetto dominante e la riconoscenza nei confronti di amici e famigliari è una costante.
Ho avuto una vita piena di belle esperienze e tante relazioni importanti. Sono cresciuto in una famiglia unita, circondato dall’affetto di tanti parenti. In questo libro ho voluto ricordare tutti i momenti e le persone che hanno avuto un peso per la mia crescita e per la mia realizzazione personale. Penso che la riconoscenza sia uno dei sentimenti più importanti: senza il riconoscimento reciproco, le relazioni non possono che rimanere in superficie.
Il tuo libro ha uno stile leggero, spesso ironico, e mantiene un fondo di ottimismo, anche quando racconti cose terribili. Qual è il segreto per non cadere nella disperazione?
Nel mio caso specifico, avendo una moglie e una figlia che amo tantissimo non potevo permettermi di farmi sopraffare dalla disperazione. Loro fanno tanto per me e io, nei loro confronti, credo di dover ricambiare con l’ottimismo e cercando di guarire. Spesso i malati di sclerosi multipla aspettano una cura, sostegno e comprensione incondizionata. È facile cadere nella disperazione per la propria condizione, ma disperando si può stare solo peggio. Non è tutto negativo, si può vivere una vita piena anche con difficoltà motorie. Però è una questione di volontà: la felicità richiede impegno, non cade dal cielo. Come diceva mia nonna Santina: “Aiutati che il ciel ti aiuta”. È indispensabile fare la propria parte e impegnarsi ogni giorno nel presente, non ha senso aspettare una cura miracolosa.
Nel tuo sito diariodelcapitano.it infatti spieghi bene l’impegno che riponi nell’attività fisica e la soddisfazione per i tuoi progressi.
È un’attività che occupa una buona parte del mio tempo in modo positivo, sia per la realizzazione dei video, sia per la gestione dei riscontri che ottengo dalle persone che li vedono. È stato un modo per dare un esempio, per far vedere che non bisogna mai arrendersi e che impegno, costanza e volontà possono oggettivamente fare stare meglio un malato di sclerosi multipla. Ogni giorno trascorro almeno mezz’ora al telefono con persone che mi contattano, alle quali cerco di trasmettere forza e motivazione. Dare forza mi dà forza.
Per chi non abbia mai visto il tuo Diario del Capitano su YouTube, potresti spiegare quali sono stati i tuoi miglioramenti, nel concreto?
A un certo punto, ho cominciato a studiare i tanti aspetti della mia malattia, leggendo molte pubblicazioni scientifiche sulla sclerosi multipla, e sono arrivato a considerare che una possibile soluzione potesse essere lenire lo stato infiammatorio del mio corpo in modo naturale. Ho perciò cambiato mentalità e stile di vita, orientandomi a un approccio olistico, e il risultato è che sono passato dalla sedia a rotelle a camminare con il deambulatore, dall’essere incontinente ad andare in bagno da solo, dal biascicare a parlare molto meglio. La mia intenzione è non mollare mai e, prima o poi, tornerò a guidare e a correre.
Quali sono stati i tuoi momenti più difficili in assoluto?
La perdita irreversibile dei capelli, da adolescente, è stato il primo momento in cui ho capito che non va sempre tutto bene e per anni ho dovuto convivere con il forte complesso di essere glabro. Poi la morte di mia mamma, quando avevo 16 anni, mi ha portato tante volte alla disperazione più buia. Da padre, è stata dura accettare di non poter essere fisicamente presente per mia figlia come avrei voluto. La parte più difficile in assoluto, però, è nella mia quotidianità: dover accettare ogni giorno l’aiuto di mia moglie e di mia figlia.
Oggi hai una vita piena e attiva, a dispetto della sclerosi multipla.
Essere malati non significa rinunciare a vivere. Con mia moglie e mia figlia facciamo una vita normalissima: siamo impegnati nelle rispettive attività, facciamo gite, vediamo amici. Per le distanze più lunghe uso la sedia a rotelle e quando giriamo in macchina mi sono rassegnato a sfruttare il pass per disabili. All'inizio erano strumenti che mi facevano sentire malissimo, ma poi ho capito che agevolano la mia famiglia. Arriva il momento in cui è necessario mettere da parte l'orgoglio e mantenere la dignità. Ho capito che la qualità di vita della mia famiglia dipende anche da questi miei piccoli compromessi. La malattia non mi ha bloccato: quando si pensa alla mia condizione è facile pensare solo ai lati negativi, invece ho avuto anche dei grandi regali. Grazie alla sclerosi multipla ho potuto trascorrere tanto tempo con mia figlia. È vero, mi ha pesato molto non essere un papà fisicamente perfetto, ma abbiamo potuto condividere tantissimo. Quando era più piccola la aiutavo a fare i compiti, adesso non ha più bisogno di me, al limite si fa interrogare, e spesso mi meraviglio di quanto sia brava a scuola. Se io avessi invece continuato a fare il dentista, l’avrei potuta vedere solo poche ore al giorno.
Qual è il messaggio fondamentale del tuo libro?
Vorrei che le persone capissero che niente è mai veramente perso: anche quando ti senti con le spalle al muro, puoi sempre riprendere in mano la tua vita. È fondamentale ripartire da se stessi e non bisogna identificarsi con la malattia, con la sfortuna o con un problema. Devi ripartire dalla persona che eri e che sei ancora. Qualsiasi problema ha la propria dignità e la propria importanza relativa, ma è superabile.
Per approfondire:
diariodelcapitano.it
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